Yoga Sutra di Patanjali

Gli “Aforismi Yoga” o “Yoga Sutra di Patanjali” sono ritenuti il testo base del Raja Yoga, lo yoga regale, la base filosofica di ogni tipo di yoga.

Il saggio Patanjali, vissuto intorno al 300 o 200 a.C., indaga la mente umana e indica alcune regole ben precise per consentirne il controllo.

 

La struttura del testo

L’opera di Patanjali consiste in 196 sutra (in prima approssimazione potremmo tradurre questa parola con «aforismi» o «versi») che descrivono con chiarezza e capacità di sintesi tutta la filosofia Yoga.

Lo yoga di Patanjali è spesso chiamato ashtanga Yoga, ovvero lo «Yoga degli otto stadi»; infatti anche se l’autore offre un’ampia varietà di tecniche per armonizzare la mente e il corpo, il percorso principale si articola in otto stadi fondamentali. I primi cinque sono:

1      yama (armonizzazione delle relazioni interpersonali);

2      niyama (armonizzazione delle sensazioni interiori);

3      âsana (bilanciamento degli impulsi nervosi opposti);

4      prânâyâma (concentrazione di tutta l’energia pranica);

5      pratyâhâra (raccoglimento ed eliminazione di tutte le distrazioni esterne alla persona);

Questi sono le cosiddette pratiche esterne, o bahiranga, che gradualmente preparano il corpo e la mente per gli ultimi tre stadi:

6      dhâranâ (concentrazione della mente in un unico punto e soppressione della confusione mentale utilizzando un simbolo psichico come centro focale);

7      dhyâna (meditazione; la consapevolezza scorre senza sforzo);

8      samâdhi (uno stato in cui vi è completa assenza di qualsiasi modificazione mentale; tutto ciò che rimane è consapevolezza).

Lo Yoga nella vita quotidiana:

I precetti: Yama e Niyama

Yama significa “indirizzare la propria vita”, concentrandosi un po’ più su se stessi. Gli yama sono:

  • ahimsa: non uccidere, che in realtà significa nutrire un profondo amore per la vita, tale da non avere – o non alimentare – alcun istinto ad uccidere o ferire.
  • Satya: non mentire, ma ha in sé una connotazione diversa dal nostro “non dire il falso”. L’idea si riferisce al nostro essere interiore: non mentire alla propria natura, al proprio intimo, alla propria anima.
  • Asteya: non rubare: non rubare nulla, neppure le idee altrui, semplicemente perché questo impedisce alla nostra originalità di esprimersi.
  • Brahmacharya: Significa “vivere come un Dio”, vivere una vita divina. Di per sé non si tratta di opporsi ai nostri desideri, ma viverli senza attaccamenti o eccessivo dispendio di energia. Solo a questo punto si può arrivare ad un distacco interiore tale da non essere più possessivi e aparigraha.
  • Aparigraha, non essere avaro.

Con Yama si conclude il lavoro all’esterno, nei confronti degli altri. E a questo punto appare Niyama, la legge interiore, che compare nella propria solitudine, e con la quale ci si deve sempre confrontare.

Il primo niyama è la pulizia. Pulizia del corpo  e della mente, in quanto un corpo malato non può ospitare un essere sano. Il secondo niyama è la serenità. Il terzo niyama è tapa, l’ascesi (consiste nell’abolire ogni distinzione tra l’io e l’altro oppure tra l’io e il Divino, attraverso la compassione). Il quarto niyama è swadhyaya, lo studio. Il quinto e ultimo niyama è la devozione, o abbandono al divino.

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